Venerdì, 30 Dicembre 2016 08:01

Moratoria, la ricetta dei medici - CdT

Nel 2019 decade il blocco per i professionisti esteri – Si muove l’Ordine ticinese Il presidente Franco Denti: «Ci vuole un filtro permanente con criteri di qualità»
 
In vista dello scadere della moratoria sugli studi medici, in agenda per il 2019, l’Ordine dei medici del Canton Ticino (OMCT) presenta a Berna una possibile ricetta per far fronte alla fine del blocco. E lo fa tramite l’FMH, la Federazione svizzera dei medici, che ha fatto proprie le proposte ticinesi. In particolare, come spiega il presidente dell’OMCT Franco Denti in un’intervista, all’attenzione del Consiglio federale e delle Camere ci saranno dei criteri che i medici stranieri dovranno adempire per poter operare sul suolo elvetico: l’aver lavorato per almeno tre anni in un istituto svizzero di formazione, dimostrare di avere delle competenze linguistiche in due idiomi nazionali nonché soddisfare dei requisiti in ambito formativo. «Se accolti – precisa Denti – questi parametri permetteranno di avere una sorta di moratoria continua, basata però sulla qualità».
 
l’intervista
 
Moratoria sui medici stranieri, il giro di vite proposto dall’Ordine in vista del 2019
 
Tre anni. Questo il termine stabilito da Berna per trovare delle soluzioni alternative alla moratoria sugli studi medici. Dopo che, un po’ a sorpresa, nel dicembre 2015 il Nazionale aveva detto no a un blocco definitivo dei professionisti esteri, i malumori e le critiche giunte dai Cantoni di frontiera avevano spinto le Camere a fare dietrofront e a ripristinare una nuova moratoria fino a metà del 2019. A due anni e mezzo dalla scadenza, sul tavolo della Confederazione sono ora sbarcate delle soluzioni made in Ticino: tramite l’FMH, la Federazione dei medici svizzeri, l’Ordine dei medici del Canton Ticino (OMCT) ha infatti avanzato una serie di criteri affinché i professionisti stranieri possano esercitare in Svizzera. «Grazie a queste condizioni – sostiene il presidente dell’OMCT Franco Denti, intervistato dal Corriere del Ticino – si garantirebbe una moratoria continuata, ma basata sulla qualità. Altrimenti si finisce per avere una giungla».
 
Le statistiche parlano chiaro: nei periodi in cui la moratoria è stata sospesa il numero di medici che possono fatturare a carico della LAMal è esploso, facendo registrare un’impennata dei costi. Qual è la vostra soluzione in vista del 2019?
 
«Come OMCT abbiamo da tempo cercato di sensibilizzare la classe politica cantonale e federale in merito alle possibili conseguenze di questa liberalizzazione del mercato, partendo sì dal presupposto che in Svizzera abbiamo bisogno di medici anche esteri – poiché ne formiamo troppo pochi nelle nostre Università – ma insistendo affinché venissero introdotti dei criteri minimi di qualità. In particolare, abbiamo chiesto che per poter operare in Svizzera i professionisti stranieri debbano soddisfare le seguenti condizioni: la padronanza di due lingue nazionali, la conoscenza del nostro sistema sanitario e assicurativo nonché l’obbligo di lavorare per almeno tre anni in un istituto di formazione riconosciuto dall’FMH prima di poter aprire uno studio medico. Requisiti questi che, chiaramente, chi studia in Svizzera acquisisce automaticamente».
 
In altre parole, si tratta di una sorta di «Prima i nostri» nella sanità?
 
«Esatto. Nel settore medico la preferenza indigena esiste già: i medici svizzeri, o comunque tutti coloro che hanno conseguito un diploma nel nostro Paese, soddisfano questi requisiti e non sono quindi toccati dalla moratoria. Il problema si pone al cadere del blocco, quando gli specialisti stranieri possono richiedere il riconoscimento del titolo e il libero esercizio sul nostro territorio. Introdurre dei criteri d’ammissione appare dunque indispensabile poiché questi permetterebbero di avere una sorta di moratoria continua, basata però sulla qualità. Ma non solo. Deve essere allo stesso tempo chiaro che simili condizioni devono essere estese anche agli ospedali, e qui mi riferisco in primis all’EOC e ai centri medici, essendo queste le strutture che assumono maggiormente medici dipendenti. Senza l’adeguamento di queste strutture l’effetto di moderazione del mercato sanitario e il contenimento dei costi sarà inefficace».
 
Tra le vostre proposte c’era anche la verifica della conoscenza di almeno due lingue nazionali. Criterio questo che però non è stato fatto proprio dall’FMH. Come se lo spiega?
 
«Ci sono voluti sei anni per formulare questi criteri. Certo, se il Consiglio di Stato ticinese fosse stato un po’ più attento e ci avesse fornito per tempo il suo sostegno forse avremmo potuto ottenere qualcosina in più. Alcuni aspetti si potevano infatti attuare già a livello cantonale. Ma si ha sempre paura dei ricorsi. Da parte nostra siamo contenti che l’FMH abbia deciso di fare proprie le nostre soluzioni. Spiace però che non tutte siano state sostenute. Ma ormai in Svizzera tedesca il problema non è così sentito, basta pensare che Zurigo non ha neppure adottato la moratoria. In tal senso manca un po’ di federalismo quando si parla della sanità. Ma in fondo lo sappiamo: finché un problema non tocca direttamente la Svizzera interna, questo non esiste».
 
Meglio quindi introdurre un sistema unico a livello nazionale?
 
«No. L’autonomia dei cantoni deve restare ma occorre stabilire delle regole minime che siano compatibili con i Bilaterali. Che gli Accordi con l’Unione europea abbiano trovato una Svizzera impreparata è un dato di fatto e maggiormente toccati sono stati i cantoni di frontiera, Ticino in primis. Basta lanciare uno sguardo agli sviluppi degli ultimi anni: con la sospensione della moratoria sono arrivati sul nostro territorio numerosi medici stranieri che non conoscono le basi né dell’assicurazione malattia e di quella infortuni, né del sistema sociale. A risentirne non è stato solo il sistema sanitario che è diventato una giungla, ma anche la qualità delle cure. È infatti noto che, soprattutto nella formazione post laurea, vi è una netta differenza tra quella conseguita in Svizzera e quella estera».
 
Le cifre parlano chiaro: se i medici stranieri trovano lavoro in Ticino è anche perché c’è carenza di professionisti svizzeri. Ma allora è tutto un problema di formazione?
 
«È vero. Le nostre Università formano troppi pochi medici. D’altra parte si è voluto introdurre il numerus clausus in alcuni atenei e questo si è rivelato la rovina del sistema. Il problema è che formare professionisti costa e il numero chiuso è una scelta cantonale. Non si può quindi proporre di abolirlo tout court a livello federale».
 
 
da sapere...
il primo blocco
La moratoria sui medici stranieri è stata introdotta per la prima volta nel 2002 con l’entrata in vigore dei Bilaterali. Alla luce dei potenziali effetti che la Libera circolazione avrebbe potuto avere sul settore, il Parlamento federale aveva deciso di concedere ai Cantoni la facoltà di limitare i medici autorizzati a fatturare a carico della LAMal. Un blocco poi prorogato più volte.
 
i costi
Tra gennaio 2012 e luglio 2013, quando il provvedimento era stato sospeso, il numero di specialisti in Ticino è aumentato del 28%, passando da 901 a 1.150 unità. In questo periodo, il costo pro capite delle prestazioni ambulatoriali è lievitato da 703 a 806 franchi.