VOTAZIONI FEDERALI / L’iniziativa del Centro «per premi più bassi» divide: per gli uni, bisogna intervenire alla radice per mantenere la crescita degli oneri della salute in linea con quella delle retribuzioni – Per gli altri, il meccanismo è troppo rigido e rischia di portare al razionamento delle cure
- CONTRARI / FRANCO DENTI
«Questa proposta crea solo grandi problemi senza risolverne uno»
L’iniziativa dice che i costi sanitari ( da cui dipendono i premi) non possono aumentare più dei salari e che in caso contrario bisogna intervenire. Dov’è il problema?
«L’iniziativa per un “freno ai costi” non è realizzabile ed è pericolosa, crea grandi problemi e non ne risolve neanche uno! La spesa per l’assicurazione di base sarebbe legata all’andamento dei salari e le prestazioni non sarebbero più finanziate in base al bisogno, ma in funzione dell’economia. In caso di crisi economica, le cure per i pazienti dovrebbero costare meno, cioè proprio quando potrebbero essere maggiormente necessarie. L’esempio più eclatante di questo principio sbagliato è quello della pandemia di COVID- 19. È stato necessario sostenere l’economia con miliardi e si è fatto ricorso a costose cure intensive come mai prima d’ora. Il freno ai costi danneggerebbe proprio quelle persone che necessitano di aiuto».
Medici e operatori sanitari in generale sostengono che il freno ai costi porterà a un razionamento delle cure e a una medicina a due velocità. Su che cosa vi basate per affermarlo?
«Quando un sistema sanitario è sottofinanziato, le conseguenze sono: tempi di attesa più lunghi e una medicina a due livelli. Sono queste le ripercussioni negative che dovremmo temere con il “freno ai costi”, non solo in caso di crisi economiche e pandemie. Anche in tempi «normali», la cassa malati potrebbe coprire sempre meno prestazioni perché l’aumento dei costi «consentito» risulterà essere più basso. Le cure necessarie dovranno essere pagate privatamente o non saranno più fornite dall’assistenza di base, che è finanziata quasi esclusivamente dall’assicurazione di base. Il Consiglio federale e il Parlamento mettono in guardia dal razionamento delle cure, che colpirebbe soprattutto le famiglie e i nuclei familiari a basso reddito e danneggerebbe proprio le persone che necessitano di aiuto».
In concreto che cosa potrebbe accadere?
«Tutti i fornitori di servizi medici e persino il Consiglio federale mettono in guardia contro il razionamento delle cure. I politici non taglieranno il catalogo delle prestazioni, ma fisseranno il limite dei costi. I medici dovranno quindi decidere cosa fare con i soldi a disposizione. Alcuni pazienti dovranno aspettare più a lungo. Questa sarà la prima conseguenza, anche per coloro che hanno bisogno di cure. Ciò accade già in tutti i sistemi del mondo dove i costi sono limitati. Noi ticinesi conosciamo i tempi della “mutua” della vicina Italia. I pazienti assicurati privatamente, continueranno a ricevere le prestazioni. Aumenterà la disuguaglianza sociale e cadrà il principio di un’uguale accessibilità alle cure per tutti».
Inefficienze, sprechi, falsi incentivi. Ci sono fior di studi secondo cui nella sanità esistono notevoli margini di riduzione dei costi. Il Centro rimprovera ai vari attori del sistema di non avere un vero interesse al risparmio. Non ha forse ragione?
«Un recente studio stima il potenziale di risparmio dell’intero sistema attorno al 20%, ma si riferisce
a tutte le inefficienze, non solo ai trattamenti non necessari. Sono un esempio le operazioni effettuate con ricovero anche se potrebbero essere eseguite in regime ambulatoriale con un costo inferiore. Sono incluse anche attività amministrative e burocratiche che non vanno a beneficio dei pazienti, ma che tolgono tempo prezioso all’ascolto e alla cura dei pazienti. Molte di queste opportunità di risparmio non possono essere influenzate dagli operatori sanitari».
Ma quanto è reale la disponibilità degli operatori sanitari a risparmiare? Questa opposizione non è un modo per nascondere l’incapacità di trovare vere soluzioni?
«Gli operatori sanitari sono a contatto diretto con i pazienti e hanno veramente a cuore la ricerca della cura più appropriata, efficace e al minor costo. È la politica, in primis quella federale, a essere in difetto di soluzioni. Sono i premi a essere cresciuti (è il caso del Ticino) negli ultimi anni più rapidamente dei costi delle cure. Ciò è dovuto in parte al fatto che sempre più trattamenti possono essere eseguiti in regime ambulatoriale, come alcuni costosi trattamenti oncologici. Le procedure ambulatoriali sono pagate al 100% dall’assicurazione malattia, pertanto a carico esclusivo dei premi. Per i trattamenti con ricovero ospedaliero, invece, il cantone paga il 55% dei costi. L’introduzione di EFAS (finanziamento unitario ambulatoriale e stazionario), approvato dal Parlamento dopo ben 15 anni di dibattiti, permetterà di finanziare i trattamenti ambulatoriali e ospedalieri nella stessa misura (circa 30% per Cantone, 70% per gli assicuratori malattia), incrementando le attività ambulatoriali, ma a costi e premi inferiori».