Lunedì, 17 Maggio 2021 06:50

Il certificato «zoppo» che divide - CdT

PANDEMIA
Il pass COVID in una prima fase sarà disponibile solo per le persone già vaccinate
L’UFSP: «È il gruppo più adatto per la fase di implementazione»
Si muove anche la politica - Carobbio: «Da estendere almeno ai guariti» - Nantermod: «Nessuna discriminazione»
 
Ancora non esiste, eppure il pass COVID svizzero fa già discutere. Anzi, si sta trasformando in un terreno scivoloso e pieno di insidie. Del resto la stessa idea di un certificato ha fatto storcere il naso a molti: «È discriminante». Perché per viaggiare, o per partecipare a grandi eventi, bisognerà provare di essere stati vaccinati (con le due dosi), di essere guariti dalla malattia oppure di aver effettuato un test negativo recente. Ma non è tutto. La Confederazione è stata criticata anche quando ha scelto di produrre «in casa» il certificato, togliendo dal tavolo le aziende private. «Troppa burocrazia, ci saranno ritardi», il succo della controversia. Oggi, invece, il libro delle polemiche si arricchisce di un nuovo capitolo. E riguarda le tre categorie che potranno beneficiare del certificato citate in precedenza. L’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP), contrariamente a quanto dichiarato a inizio maggio, per il momento ha inserito solamente i vaccinati. Gli altri, infatti, dovranno aspettare. Quanto? Non è dato sapere. Come peraltro non è dato sapere con esattezza quando sarà rilasciato il pass COVID in Svizzera. Si parla di fine giugno, o comunque «entro l’estate». Da noi contattato, l’UFSP ha spiegato che «il certificato COVID sarà distribuito in modo scaglionato» e «sarà disponibile prima per le persone vaccinate». I certificati per le persone con un test negativo recente o per chi è guarito «saranno poi introdotti in modo tempestivo». Le persone vaccinate - aggiunge l’UFSP - «sono le più adatte per la fase di implementazione, poiché il gruppo di persone interessate può essere chiaramente delineato, sia in termini di rilascio che di ricezione del certificato». In effetti, per accelerare il processo di registrazione, i dati delle persone già immunizzate vengono immediatamente trasferiti su una piattaforma in attesa del rilascio del certificato COVID.
 
Posizioni diverse
La notizia dell’esclusione dei guariti o di chi è in possesso di un test negativo, diffusa dal Tages Anzeiger, non è comunque passata inosservata. Perché si presta a essere letta come una sorta di discriminazione nella discriminazione. Un’aggravante, dunque. «Sono rimasta sorpresa quando l’ho appreso», ammette la consigliera agli Stati Marina Carobbio (PS). «Giovedì, quando ci riuniremo in Commissione (della sicurezza sociale e della sanità, ndr.) porrò delle domande per capire meglio la questione. Dal mio punto di vista, il certificato COVID pone già dei problemi etici e di discriminazione che vanno evitati. Dovrebbe quindi essere temporaneo, per garantire l’accesso ai grandi eventi e per permettere i viaggi all’estero, e avrebbe quindi senso renderlo disponibile fin da subito anche alle persone guarite». Resta ancora da capire - prosegue la consigliera agli Stati - «se l’estensione del certificato ai guariti o a chi ha un tampone negativo sarà questione di pochi giorni, o se invece si prospettano tempi più lunghi». La Confederazione si è mossa in ritardo? No, secondo Carobbio, «anche perché era necessario poter disporre di una base legale, e questa non c’è da molto. Ora è importante che questo strumento sia coordinato anche con gli altri Paesi, perlomeno a livello europeo». Di tutt’altro avviso, almeno per quanto riguarda le tempistiche, Franco Denti, presidente dell’Ordine dei medici del canton Ticino. «Pharmasuisse e FMH avevano proposto alla Confederazione di legare il certificato al sistema Health Info Net (HIN) che da anni gestisce le cartelle elettroniche dei pazienti. Berna ha scelto un’altra via, ed è un peccato. Lo strumento c’era già, dovevano solo fornirci i contenuti. Saremmo stati pronti a partire a fine maggio. L’annuncio dell’UFSP sui vaccinati è comunque un passo avanti, definisce una specie di struttura. Però insisto sui tempi: a Berna sembra che non sappiano dell’esistenza del canton Ticino. Contrariamente a quanto avviene oltre San Gottardo, da noi le scuole chiudono già a metà giugno, molti partiranno in vacanza. E servirà un certificato non solo svizzero, ma compatibile con l’Unione europea». L’importanza di un certificato COVID che possa dialogare con il «green pass» UE è ribadita anche dal direttore di Ticino Turismo Angelo Trotta, secondo il quale «non avrebbe senso proporre un pass con regole differenti. La Svizzera rischia di rimanere tagliata fuori dal flusso di turisti in arrivo in Europa».
 
Questione di priorità
La questione dell’esclusione dei guariti o di chi è in possesso di un test negativo, come visto, ha fatto muovere soprattutto la politica. Ma c’è anche chi approva la strategia dell’UFSP. «Capisco il bisogno impellente di disporre di un certificato, e la via più rapida è effettivamente quella di includere inizialmente solo le persone vaccinate» dice Philippe Nantermod, consigliere nazionale PLR. «Si conoscono tutti i dati: le date delle vaccinazioni, le dosi, il prodotto. Diverso il discorso degli anticorpi dei guariti o del test PCR, che potrebbe dare un responso diverso da un giorno all’altro». Per Nantermod far rientrare i vaccinati nel pass COVID non deve essere letto come un mezzo per mettere pressione alle persone affinché si facciano immunizzare. E non è nemmeno una questione di discriminazione. «La vaccinazione, peraltro gratuita, è una libera scelta dell’individuo. Il pass è concepito per proteggere gli altri».