Venerdì, 09 Luglio 2021 06:24

Camici bianchi sotto pressione, «Hanno il dovere di vaccinarsi» CdT

La diffusione della variante Delta riaccende il dibattito sull’obbligo di immunizzare per chi lavora a stretto contatto con pazienti e persone fragili - Le cifre di adesione negli ospedali ticinesi sono incoraggianti - Gli addetti ai lavori non hanno dubbi: «Chi non accetta deve cambiare mestiere»

Troppi, tra coloro che lavorano in ambito sanitario, non sono ancora vaccinati. E questo può rappresentare un rischio in vista dell’autunno, soprattutto con la variante Delta in circolazione. A dirlo, lo scorso fine settimana, era stato il consigliere federale Alain Berset. Un allarme che non trova per fortuna conferma in

Ticino, dove il personale medico e infermieristico ha risposto positivamente alla
campagna vaccinale.

Cifre positive
«Le cifre di inizio giugno indicavano 3.847 collaboratori dell’EOC completamente vaccinati su un totale di 6.098. Una quota pari al 63%. Nel frattempo, sono arrivate
altre adesioni alla campagna e, inoltre, diversi collaboratori si sono recati nei centri vaccinali attivi sul territorio», spiega il professor Alessandro Ceschi, primario e direttore medico e scientifico dell’Istituto di scienze farmacologiche dell’EOC e membro, quale unico esperto esterno, della taskforce di Swissmedic sulla sicurezza dei vaccini COVID. La quota è quindi cresciuta ulteriormente: «Stando ai dati preliminari di inizio luglio, che però sono ancora in fase di verifica in particolare per quanto riguarda eventuali rilevamenti in doppio visti gli spostamenti del personale nelle quattro sedi, risultano vaccinati 4.996 collaboratori, compresi coloro che si sono vaccinati esternamente». Cifre che, se venissero confermate, porterebbero la quota del personale dell’EOC immunizzato all’82%. «Probabilmente la cifra finale si situerà nel mezzo, ma si tratta senza dubbio di un buon risultato», commenta Ceschi. Anche perché «abbiamo chiare indicazioni che tra gli operatori clinici, ovvero il personale a diretto contatto con i pazienti, l’adesione sia stata più importante, verosimilmente attorno all’80%». Elevata anche
la quota di vaccinati tra il personale della Clinica Luganese Moncucco. «Siamo attorno all’85%, in alcuni reparti si tocca anche il 100%», conferma il direttore Christian Camponovo, che parla di un «risultato estremamente soddisfacente, anche se sarebbe ottimale raggiungere la totalità dei collaboratori, perché la protezione della salute dei pazienti viene prima di tutto». In questo senso, secondo Camponovo «un obbligo di vaccinazione potrebbe essere giustificato, anche se servirebbe una decisione istituzionale e una base giuridica più solida».

Diritti e doveri
Negli ultimi giorni, in Svizzera ma anche nei Paesi vicini, la questione è tornata d’attualità: lo Stato dovrebbe imporre la vaccinazione al personale curante? In Francia, con la variante Delta che galoppa e solo il 64% dei sanitari che ha aderito alla campagna, il Governo sta consultando gli esperti per capire se si può percorrere questa via per vincere la riluttanza di medici e infermieri. In Italia, invece, mancano all’appello in 46 mila e, a due mesi dal via libera al decreto che impone la vaccinazione a chi lavora in ambito sanitario, sono scattate le prime sospensioni. «Chi lavora nel campo sanitario, specialmente in tempo di pandemia, dovrebbe avere l’obbligo di vaccinarsi. E chi rifiuta, dovrebbe chiedersi se è nel posto giusto»,
afferma senza esitazioni Franco Denti, presidente dell’Ordine dei medici. «Non ci si può trincerare dietro la libertà individuale, serve avere buon senso. Ci si deve assumere la responsabilità nei confronti della collettività, e questo vale a maggior ragione per chi lavora nel campo sanitario». E se in Ticino il tasso di adesione è piuttosto alto, anche tra il personale sanitario, «abbiamo comunque alcuni buchi che dovrebbero essere colmati. Ci sono infatti direttori di case per anziani e capo cura che hanno rifiutato, e anche nei servizi di cura a domicilio la quota è ancora troppo bassa: su questi due settori si dovrebbe intervenire». Anche Fabio Maestrini, direttore degli istituti sociali di Chiasso e membro di ADICASI, è tassativo. «Il personale che lavora in ambito sanitario deve vaccinarsi», dice. «Chi decide di esercitare questa professione, in qualsiasi ruolo, deve farlo. Altrimenti, deve cambiare ambito». A Chiasso, il 95% dei residenti e l’80% del personale ha aderito alla campagna. Eppure, al di là di chi non può essere immunizzato per ragioni
mediche, c’è uno «zoccolo duro» che non accetta il vaccino. «L’impatto delle immunizzazioni nelle case per anziani è evidente: non ci sono più contagi né decessi», prosegue Maestrini. «Siamo tornati a una sorta di normalità dopo un periodo difficilissimo, e davvero non capisco come si possa rifiutare di proteggere se stessi e gli altri quando si è a stretto contatto con la popolazione più fragile. Al momento non si può obbligare nessuno, è vero, ma personalmente quando faccio la selezione dei nuovi collaboratori la domanda sul vaccino la pongo. E assumo chi ha fatto la vaccinazione».

Anche la politica si interroga
Il tema, in queste settimane, è oggetto di riflessioni anche all’interno del DSS e «si stanno valutando le possibili strategie per aumentare ulteriormente il tasso di adesione, compresi i gruppi target come quello del personale sociosanitario». Sebbene in Ticino «i numeri si mantengono alti in confronto a molti altri cantoni, il Dipartimento sta approfondendo le possibili misure per stimolare ulteriormente le persone ancora indecise a scegliere di farsi vaccinare». Più duro, invece, l’omologo ginevrino Mauro Poggia, secondo cui «chi è a contatto con i pazienti vulnerabili
dovrebbe essere vaccinato». Invece, sottolinea il consigliere di Stato, «la quota del personale vaccinato è tra il 40 e il 60%». Addirittura, all’Ospedale Universitario di Ginevra la copertura del personale infermieristico è inferiore a quella di chi lavora nei reparti amministrativi. «Sentendo con quanta forza alcuni infermieri invocano la libertà individuale - dice Poggia -, ho l’impressione di sentir parlare un comune cittadino, mentre queste professioni non solo dovrebbero essere più sensibili alla necessità di proteggere se stessi e la comunità, ma il loro sostegno alla vaccinazione dovrebbe essere maggiore. Se puntiamo a una copertura vaccinale dell’80% della popolazione, dobbiamo contare soprattutto sul sostegno del personale sanitario, che deve dare l’esempio». Poggia, pur non essendo favorevole all’introduzione di un obbligo di vaccinazione per le professioni sanitarie, spera che il dibattito possa «incoraggiare chi ancora tentenna a fare questo passo»: «O tutti reagiscono ora, o corriamo il rischio di far pagare alla maggioranza della popolazione la libertà
rivendicata da una minoranza».