Giovedì, 25 Novembre 2021 08:04

Lezione italiana sul fronte vaccini - La Provincia

Allo scoppio della pandemia di Covid-19, nel febbraio 2020, aveva fatto notizia, persino sui giornali italiani e svizzeri d’oltralpe, il mio provocatorio invito a chiudere i confini con l’Italia, per arginare i flussi giornalieri in entrata e in uscita dal Ticino legati al mondo del lavoro e concedere al settore sanitario ticinese qualche giorno in più per riorganizzarsi.
Orbene, adesso devo avere l’onestà intellettuale di ammettere che si sta verificando un fenomeno contrario.
Il Ticino, infatti, sta godendo di una buona situazione epidemiologica rispetto al resto della Svizzera, proprio grazie ai vasti contingenti di manodopera italiana, che seguendo disciplinatamente le leggi nazionali, si sono vaccinati in massa.
Paragonando il tasso di vaccinazione tra i nostri due paesi, rispetto al 74 % della popolazione totale italiana completamente vaccinata (2 dosi), in Svizzera ci siamo fermati al 65 %.
Se invece compariamo tra loro i territori insubrici, la differenza tra la regione Lombardia, completamente vaccinata al 79% e il Canton Ticino, completamente vaccinato al 69 %, ci rendiamo conto che i 10 punti percentuali di differenza creano un abisso.
Considerato poi che il Canton Ticino, anche grazie al mio personale sforzo e a quello di tutti i medici sul territorio che io rappresento, è uno dei cantoni più virtuosi della Svizzera in quanto a vaccinazioni effettuate e vi sono Cantoni come l’Appenzello interno dove il tasso di vaccinazione si attesta a un misero 54 % (in pratica, poco meno di una persona su due continua a resistere alla vaccinazione), c’è di che preoccuparsi.
La settimana scorsa, in Svizzera, si è svolta all’insegna della cosiddetta “offensiva vaccinale”, lanciata dalla Confederazione con sonori proclami e grande battage pubblicitario, con ingente stanziamento di denaro pubblico e spremitura dei cervelli degli esperti di marketing più creativi (testimonial vip, concerti, lotterie a premi, bus itineranti con possibilità per i più indecisi di fare domande e, se convinti, di vaccinarsi sul posto, autorità pubbliche e sanitarie a disposizione per chat-fiume sui social con i renitenti…).
Il bilancio di chiusura di questa operazione è stato poco meglio di un flop annunciato.
L’Italia, invece, si è premurata per tempo, imponendo già dal 15 ottobre l’obbligo del Green pass per accedere in tutti i luoghi di lavoro pubblici e privati.
Adesso questo atteggiamento virtuoso, le vale il vantaggio di essere uno dei paesi europei dove il peso pandemico è più leggero.
Se guardiamo all’ultima settimana, l’incidenza di casi ogni 100'000 abitanti in Svizzera supera il triplo di quella in Italia (323,1 contro 93,8).
In questo momento, alle soglie della nuova ondata invernale (per certi paesi si parla di quarta o addirittura quinta ondata), i paesi nostri vicini stringono le maglie, sulla spinta dei numeri epidemiologici (contagi, ai quali seguono puntualmente ricoveri in ospedale, in terapia intensiva e decessi) che salgono a grandi falcate.
In Germania si parla di situazione fortemente drammatica. L’ex-Cancelliera Angela Merkel è dovuta tornare in campo con la sua autorevolezza per rassicurare un paese in piena crisi pandemica, annunciando un sistema di soglie legate al numero delle ospedalizzazioni, che porta sempre più verso nuovi lockdown, nei quali la vita pubblica sarà permessa solo ai vaccinati o ai guariti.
In alcune regioni, per entrare nei locali pubblici, viene già richiesto un green pass plus (in aggiunta alla prova di essere vaccinati o guariti, bisogna anche presentare il risultato negativo del test!)